L’ansia di assoluto in Caino

C’era l’ossessione di dire la «spina della memoria», la geografia e la storia di un’origine di famiglia. Titolo: La riviera del sangue. Da un verso di Dante. Libro di visioni, di muri sbrecciati e curvature chiare di colline a inerpicarsi brusche. Cristi d’argento, sui sagrati nell’aria tremolante, comparivano. E a un certo punto c’era Genova: «Genova come una conca di fiamme, oltre il bosco coronato di montagne».

Si potrebbe procedere:

a riconoscere la rabbia e l’agonia, la forza visionaria che già sprigionavano dalle prime poesie di Alessandro Rivali, ai tempi del suo esordio. Perché no, nessuno scatto ha perso fuoco nella mente. E anzi: nonostante l’abitudine a sfatare e ad eludere, si ricordano la perfezione del silenzio e poi del fragore che quelle parole permettevano di ascoltare.

Ripensarci è inevitabile. Ripensarci crea un ponte ora che è uscito un nuovo poema, La terra di Caino (Mondadori, pp. 144, euro 20). Nessuna leggerezza del presente -si scopre subito, fin dai primi versi – ha addolcito quella ricerca poetica, espressionista di un tempo. Fin da allora in controtendenza rispetto a modelli espressivi più à la page, più novecenteschi, più postmoderni. E certo si può leggere questo libro che viaggia nella storia e in luoghi differenti insieme al padre degli assassini, in più modi. Uno è quello di riconoscere le fonti che lo ispirano. Qui ci sono il Pound dei Pisani che torna – la scelta resta scandalosa al secolo. E Ungaretti, quasi tenuto ad angelo tutelare. E Giorgio Caproni. E Giampiero Neri. Ma, certo, è più importante andare ai ferri corti con il «cuore simile a un nevaio di vespe», con la «potenza guasta» di Caino. Passano pagine non solo di evocazione ma di riflessioni, di sorprendenti argomentazioni, dove si affaccia continuamente la dialettica tra sacro e profano, dove trascorrono, come su di un palco, le metafisiche di popoli arcaici (c’è una sezione che si chiama Gilgamesh) attraverso una lingua meditatissima, simbolica e sempre pronta a battersi per la protezione del mistero, indirettamente contro un materialismo totalizzante. Seguire questi versi significa, poi, ripercorrere un cammino quasi in senso concreto, topografico. E se c’è un centro ideale o un porto d’arrivo per la peregrinazione ispirata è senz’altro il cimitero di Staglieno, a Genova. Heimat del poeta. Tra portici e lapidi.  Dove si può sedere e osservare, quasi spossessati, il tempo e la vita, in silenzio, con la prospettiva dell’eterno.  C’è un ritmo che rallenta, a questo punto. Anche se l’isola degli spettri si rivela terra di «capogiri di storie», di «parabole dei desideri». Si approda come a un religioso sostare, a un volere assistere senza fuggire alla danza macabra che fatalmente scioglie l’astrazione di realtà, il vertiginoso svuotamento che la tecnica impone alla vita di ogni giorno. Le parole si diradano, si fanno terzine scabre, scompare ogni residuo di psicologismo. Restano l’attesa e la connessione con il silenzio. Caino si fa ineliminabile presenza ancestrale. La drammaticità effettiva di ogni vita si prende il palcoscenico con tutta l’avversità della sorte e l’angoscia che scaturiscono dalle sculture immobili. Nella modestia di ogni volto, nell’umiltà della scena della morte si incarna la poesia di Rivali. Che più osserva creature in balia della sorte e più è attento a non avvilire nulla, a ricercare l’autenticità. È un compianto, a questo punto, è una difesa dell’uomo La terra di Caino, della sua capacità di accettazione e della sua ansia di assoluto.

Non stupisce che la gestazione di questo poema sia durata dodici anni (così ha spiegato l’autore). Perché sono estratti dal pudore e dall’immobilità tutti i profili, le storie, i personaggi che lo popolano. Svelati senza nessun progetto poetico precostituito se non quello di andare a incontrare la fatale individualità delle esistenze, la loro vastità, il loro essere nella ferita. Primi piani di volti e sorrisi e tremori: partono dall’infinitamente piccolo i fili del grande arazzo, della scena della Storia. Dove il futuro sarà ancora mosaico – dai frammenti nascono eleganze e umanità – dove dal primo tempo della Bibbia, dal tempo di Caino, sempre si avvertirà il dramma scatenarsi, incombere. L’atto elementare di esistere e resistere forse è una risposta. È il gesto naturale e penultimo che merita di essere detto. In attesa.